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Ecologia & Risparmio

CONSUMO DI SUOLO: In Italia il cemento mangia 55 ettari al giorno

Il rapporto Ispra del 2015 lancia l’allarme sullo spasmodico consumo di suolo del nostro Paese. Abbiamo dato in pasto al cemento quasi un quinto della fascia costiera, l’equivalente dell’intera costa della Sardegna.

Perdiamo 55 ettari di terreno italiano al giorno, ingoiati da una colata di cemento permanente che sembra inarrestabile. A dirlo è il rapporto 2015 sul consumo di suolo realizzato dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale. Stiamo parlando di una marea grigia che ingloba quasi 7 mq. di territorio al secondo per far sorgere soprattutto nuove infrastrutture, insediamenti commerciali e per espandere aree urbane a bassa densità.

Per quanto riguarda le zone costiere, ormai il cemento ha ingoiato sabbia e rocce delle nostre splendide spiagge, con l’irrimediabile perdita del 20% della fascia costiera della Penisola, più di 500 chilometri quadrati, una porzione di territorio che corrisponde all’intera costa della Sardegna. Nella sua dissennata espansione il cemento ha spazzato via anche 34.000 ettari di suolo all’interno di aree protette, il 9% del territorio di zone a pericolosità idraulica e il 5% delle rive di fiumi e laghi, arrivando addirittura a consumare il 2% di territorio in zone inaccessibili come montagne, aree a elevata pendenza e zone umide.

Purtroppo ad oggi non esistono regole per la cementificazione che si sta facendo sempre più selvaggia e il Governo, sollecitato da molte associazioni, si sta attivando per dare vita ad un disegno di legge finalizzato a limitare fortemente questa attività in Italia. Il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti commenta “I dati Ispra sul consumo di suolo raccontano un’Italia che esaurisce in maniera sempre più preoccupante le sue risorse vitali, mettendo a rischio tante aree del Paese e dunque anche i cittadini. Il disegno di legge in discussione in Parlamento è una risposta forte e innovativa a questo problema, va approvato subito”. Ma la legge non è sufficiente: “Serve una nuova cultura di rispetto dell’ambiente e di cura del territorio che parta dall’insegnamento ai giovani per costruire un’Italia più sicura e quindi più civile”.

Il territorio perso riguarda soprattutto aree agricole, ma anche aree urbane e naturali, con un più rapido consumo nelle zone di periferia dovuto alla continua e disordinata espansione delle città, esponendosi a sempre maggiori rischi idrogeologici. Erasmo D’Angeli, Coordinatore della struttura di missione di Palazzo Chigi #italiasicura contro il dissesto idrogeologico, commenta “E’ inaccettabile che in un paese come il nostro si continui a cementificare senza che ci sia una pianificazione con vincoli di inedificabilità sulle aree esposte al rischio idrogeologico”. I dati emersi dal rapporto Ispra, prosegue, “confermano la nostra preoccupazione e l’urgenza dell’approvazione della legge sul consumo del suolo. È impensabile investire come stiamo facendo 9 miliardi di euro in 6 anni per ridurre il rischio idrogeologico e poi assistere a cementificazioni in zone a pericolosità idraulica o di frana”.

Nel 2013 abbiamo assistito ad un’impennata del fenomeno di cementificazione, con 15 Regioni che superano il 5% di suolo consumato. Lombardia e Veneto raggiungono addirittura il 10%, mentre Campania, Puglia, Emilia Romagna, Lazio e Piemonte registrano valori compresi tra il 7% e il 9%. Il primato va alla Liguria per le costruzioni entro i 300 metri dalla costa che coprono il 40% del territorio. L’Emilia Romagna si guadagna il primo posto tra le zone a rischio idraulico, con oltre 100.000 ettari di suolo consumato in tali aree. I comuni delle province di Napoli, Caserta, Milano e Torino registrano tra il 50% e il 60% di cementificazione. Il record assoluto va al piccolo comune di Casavatore nel napoletano, con l’85% di terreno inghiottito dal cemento.

Come commenta il presidente della Commissione Ambiente Territorio e Lavori Pubblici della Camera, Ermete Realacci, “I drammatici dati del rapporto Ispra sul consumo di suolo, a partire dai 55 ettari persi ogni giorno, confermano la necessità di fermare il consumo di suolo come una priorità del Paese”.

Tra le provincie dell’Emilia Romagna, Rimini è quella col maggiore consumo di suolo, il 10,3%. Commenta Andrea Gnassi, Sindaco e presidente della Provincia di Rimini: “Il rapporto 2015 dell’Ispra sul consumo del suolo, con dati riferiti al 2012, conferma quanto si sapeva: il Riminese è una provincia ad alta percentuale di suolo consumato. Ci sono molte ragioni storiche e congiunturali dietro questo dato, perfino morfologiche, ma certamente esso va attentamente letto.
Dal 1988 al 2011 nella provincia di Rimini sono stati ‘mangiati’ 800 ettari di terreno agricolo e ancora nel 2012, pur in presenza di una crisi economica che colpendo il settore dell’edilizia ha certamente rallentato la cementificazione, restiamo con valori più alti della media. Questo ci dice che l’unica strada possibile, direi obbligatoria, è quella di invertire il modello di sviluppo, non più basato sul consumo di nuovo territorio visto come ‘bene fungibile’ ma semmai sulla riqualificazione e rigenerazione dell’esistente.
C‘è chi vede nel rispetto del paesaggio solo una fisima culturale ‘che non dà da mangiare a differenza delle betoniere in moto’. Invece no, tutelare il paesaggio, oltre a incrementare la qualità della vita, significa incidere su un nuovo modello di sviluppo che ha margini potenziali di crescita molto più alti della rendita e della speculazione. Anche per questo il Comune di Rimini ha impostato una nuova stagione di pianificazione urbanistica, basata sul Masterplan, sulla variante che ha tagliato gli indici edificatori, sulla rivisitazione e armonizzazione di PSC e RUE con il masterplan. Questa è la strada e questo è il modello di sviluppo virtuoso da seguire”.

Il passaggio dal consumo di suolo alla riqualificazione e rigenerazione degli edifici esistenti è una necessità in tutto il Paese, con effetti benefici non solo sull’ambiente e sui paesaggi, ma anche sull’intera economia. Infatti, la ristrutturazione e riqualificazione energetica dei moltissimi edifici ormai fatiscenti porterebbe lavoro alle imprese del settore edile, quello più duramente colpito dalla crisi degli ultimi anni.

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