Sono molte le novità in programma da qui al 2018, previste dall’ambiziosa rivoluzione fiscale annunciata dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Un piano fiscale del valore complessivo superiore ai 50 miliardi di euro che parte dall’abolizione della tassa sulla prima casa.
All’assemblea nazionale del Partito democratico, Renzi ha descritto la riforma fiscale come “un impegno di riduzione delle tasse che non ha paragoni nella storia del Paese”. Affermando: “Questo Pd può realizzare una rivoluzione copernicana e senza aumentare il debito”. Il sentiero è tracciato a partire dall’abolizione della tassa sulla prima abitazione nel 2016, per proseguire con l’intervento su Ires e Irap nel 2017, concludendo poi con interventi sugli scaglioni Irpef e sulle pensioni nel 2018.
Le parole di Renzi non lasciano dubbi: “Nel 2016 il piano prevede l’eliminazione della tassa sulla prima casa, l’Imu agricola e sugli imbullonati, ovvero gli impianti industriali che per funzionare devono essere fissati a terra e che fino ad oggi il Fisco aveva assimilato agli edifici contigui sottoponendoli a tassazione”. L’obbiettivo è quello di tagliare soprattutto la Tasi, la tassa sui servizi indivisibili, piuttosto che l’Imu, che in realtà attualmente riguarda solamente gli immobili delle categorie catastali A1, A8 e A9. La Local Tax verrà introdotta, ma con alcune modifiche rispetto a come era stata pensata inizialmente.
L’abolizione di Imu e Tasi dalla prima casa ha scatenato diverse reazioni, tra le quali anche quella di Nomisma che è intervenuta minimizzando il beneficio derivante dall’azzeramento dell’imposizione sull’abitazione principale che non sarebbe la soluzione migliore.
Come spiega nel dettaglio il consigliere delegato della società di consulenza, Luca Dondi: “Se non vi sono dubbi che la fiscalità sulla casa rappresenti un tema delicato e complesso, non emergono evidenze che l’azzeramento dell’imposizione fiscale sulla prima casa risulti dal punto di vista economico e sociale l’opzione preferibile”. Aggiungendo: “La strada maestra per arrivare a un sistema impositivo finalmente più equo rimane quella della revisione delle basi imponibili che scaturirebbe dalla riforma del Catasto, che il governo ha ribadito essere una priorità. Non è infatti pensabile continuare a intervenire solo sulle aliquote o sui moltiplicatori, ci sono sperequazioni enormi all’interno delle stesse città e tra città che solo una revisione complessiva può correggere”. Prosegue spiegando “A tal proposito, si pensi che la differenza tra riferimenti catastali e valori di mercato oscilla tra il 36% e il 300%, attestandosi in media al 135%. La disomogeneità del patrimonio immobiliare italiano e l’assenza di una base dati di riferimento sufficientemente articolata sono ostacoli consistenti sulla strada della riforma. Occorre lavorare pazientemente per rimuoverli senza farsi sopraffare dall’ansia del risultato di breve”.
Osservando i dati emersi dalle Agenzie delle Entrate emerge che nel 2014 il gettito derivante da Imu e Tasi relativo alle prime case ha subito un calo del 12.6%, attestandosi a 3,5 miliardi di euro, contro i circa 4 miliardi di euro del 2012. Se nel 2012 i proprietari di prima abitazione pagavano in media 227 euro, nel 2014 hanno pagato in media 204 euro. Per comprare casa in Italia sono necessari in media 181.000 euro, quindi, secondo Nomisma, lo stimolo che l’abolizione della tassa sulla prima casa porterebbe al mercato sarebbe piuttosto modesto, quantificabile nello 0,11% sul primo anno e inferiore all’1%, dati i valori attualizzati, su un arco temporale di dieci anni.
I pratica lo sgravio garantirebbe al 76,6% delle famiglie che hanno una casa di proprietà un risparmio di 17 euro al mese. Inoltre i beneficiari non sarebbero solamente i nuclei familiari a basso reddito, ma anche le altre famiglie con maggiore disponibilità economica.