In Italia il suolo edificato è raddoppiato in vent’anni, gli alloggi inutilizzati sono aumentati del 350% in dieci anni, in pratica il 25% degli alloggi è vuoto mentre 2,3 milioni di famiglie non può permettersi una casa. Dai dati Istat relativi al censimento del 2011 risulta una forte crescita del suolo edificato che in vent’anni è raddoppiato. L’Osservatorio sui Laboratori Territoriali ha stimato 18 miliardi di metri cubi edificati, di cui 15,5 miliardi destinati al residenziale, contro un fabbisogno nazionale aggregato di 6,2 miliardi di metri cubi. Ecco che si spiegano gli oltre 7 milioni di appartamenti vuoti, aumentati del 350% in dieci anni, praticamente il 25% degli alloggi presenti sul territorio italiano risultano inutilizzati.
Le conseguenze.
Sappiamo fin troppo bene gli effetti sempre più drammatici causati dalla combinazione tra la crescita di energia nell’atmosfera dovuta ai cambiamenti climatici e i dissesti del territorio da imputare all’ipercementificazione generalizzata. Questa situazione, oltre alla perdita di paesaggi, porta alla distruzione di sistemi idrogeologici. Ma che senso ha continuare a costruire alloggi che poi restano vuoti?
I 7 milioni di
appartamenti
vuoti, ipotizzando un’ampiezza media di 2,8 stanze per alloggio, si traducono in una stima di circa 20 milioni di stanze vuote. Gli edifici presenti sul territorio italiano sono 14,5 milioni per un totale di appartamenti residenziali di poco superiori a 31 milioni. In Italia siamo circa 62 milioni di persone, con una stima abbondante che cerca di comprendere anche gli immigrati non censiti.
A livello regionale.
Analizzando la distribuzione del fenomeno nelle varie Regioni troviamo una situazione esasperata al sud con la Campania. Questa Regione conta circa 1 milione di edifici, una popolazione di 5,76 milioni abitanti e 65.000 edifici vuoti e inutilizzati; in Puglia troviamo 1,1 milioni di edifici per circa 4 milioni di abitanti e 54.200 edifici inutilizzati; la Basilicata conta 117.000 edifici di cui 11.700 vuoti per 580.000 abitanti; in Calabria troviamo 1,25 milioni di edifici per meno di 2 milioni di abitanti e 420.000 alloggi vuoti; in Sardegna, infine, dove gli abitanti sono 1,64 milioni, troviamo “solamente” 570.000 edifici di cui 70.000 inutilizzati.
Fino a vent’anni fa il dato che veniva considerato maggiormente significativo era il rapporto tra abitanti e stanze. Successivamente, il boom di nuove costruzioni unito alla forte crescita delle famiglie mononucleari, ha fatto si che nel censimento del 2001 risultasse più significativo parlare in termini di abitanti/appartamenti. La situazione attuale invece, ci costringe a parlare del rapporto abitanti/edifici. A livello nazionale, troviamo poco meno di 4 abitanti per edificio. Analizzando, invece, la situazione a livello regionale troviamo che nel Lazio, come in Campania, si registrano circa 5 abitanti per edificio. Poco meno di 5 in Lombardia, poco più di 4 in Toscana, appena meno di 4 in Puglia, 3,2 in Basilicata, in Piemonte, come in Sardegna, si registrano 3 abitanti per edificio. Addirittura meno di 3 in Sicilia e Sardegna e 2,5 in Calabria.
A livello cittadino.
Analizzando la situazione nelle varie città italiane, troviamo che i vani vuoti a Torino, Milano e Roma superano i 100.000. Sono di poco inferiori a Napoli, mentre a Venezia, Padova, Bologna, Genova e Firenze sono comunque nell’ordine di decine di migliaia. In certe città del meridione le stanze costruite superano addirittura il numero di abitanti. A Reggio Calabria si contano 40.000 stanze in più rispetto ai residenti, e in molte zone dell’entroterra, non solo al sud, si contano più edifici che abitanti.
In Europa e in Nord America esiste un vasto movimento di critica radicale all’espansione della dispersione urbana che caratterizza i Paesi economicamente avanzati, che vedono uno spazio urbano meno presidiato e territori rurali “suburbanizzati”. Secondo questo movimento la crescita estensiva dell’urbanizzazione rappresenta un’opzione di sviluppo intrinsecamente inefficiente ed energivora, socialmente instabile, che consuma risorse ambientali e soprattutto suolo. Continuare a costruire nuovi edifici senza tenere conto del reale fabbisogno abitativo della popolazione rappresenta un vero e proprio spreco di suolo che svolge complesse e fondamentali funzioni ambientali.
Non si tratta solamente dell’erosione di spazi naturali riservati a fauna e flora. L’ipercementificazione generalizzata ha almeno quattro grandi effetti negativi a carico della società e dell’ambiente:
- Frammentazione del paesaggio con ripercussioni negative su flora, fauna, ecosistemi e assetto idrogeologico;
- Danneggiamento in senso socio-culturale, poiché il paesaggio è anche percezione umana ed identità culturale;
- Depauperamento della qualità sociale dal momento che questa forte frammentazione porta spesso alla creazione di aree isolate o emarginate;
- Aumento dei costi di urbanizzazione e fornitura dei servizi.
Emergenza abitativa.
Nel nostro Paese ci troviamo di fronte ad un paradosso che vede un’emergenza abitativa che interessa 2,3 milioni di famiglie, che a causa delle difficoltà economiche non riescono a permettersi una casa, da una parte e 7 milioni di alloggi vuoti ed inutilizzati dall’altra. Il decreto Sblocca Italia, in realtà, non sembra rappresentare una valida soluzione a questa situazione. Anzi, l’autorizzazione a costruire nuove abitazioni, nuovi centri commerciali, e nuove infrastrutture, fa temere un favoreggiamento delle speculazioni finanziarie e del selvaggio consumo di suolo. Il tutto in un territorio già notevolmente compromesso dal punto di vista idrico-orografico.
Purtroppo il circolo vizioso vede il capitale immobilizzato nelle costruzioni, che restano spesso vuote, e che viene utilizzato per ottenere nuovo credito per la costruzione di ulteriori nuove abitazioni e non importa se resteranno invendute. Serviranno, infatti, come garanzia per l’erogazione di nuovo credito.
Alberto Ziparo, Professore associato in Pianificazione Urbanistica presso l’Università degli Studi di Firenze, illustra molto bene questo circolo vizioso. Ecco un estratto di un articolo pubblicato su Il Manifesto. “Ci siamo chiesti a lungo perché nel nostro Paese si continuasse a costruire, a dispetto del declino demografico (la quota di immigrazione appare tuttora relativa) e socioeconomico. La spiegazione è stata fornita dagli studiosi di marketing immobiliare: da tempo non si costruisce più per la domanda sociale (che infatti – nonostante tutto il patrimonio vuoto citato – resta in parte inevasa): la rendita fondiaria, poi immobiliare si è trasformata sempre più in finanziaria. I ‘nuovi vani’ dovevano costituire le ‘basi concrete’ per ‘costruzioni virtuali’ di fondi d’investimento o risparmio gestito. A parte la quota di edificato ‘lavanderia’, ovvero finalizzata al riciclaggio di capitale illegale, facilmente intrecciata al primo.”