Come già detto, siamo soliti usare i termini residenza, dimora e domicilio per indicare il luogo in cui abitiamo. E nel gergo comune ci si può sorvolare; ma da un punto di vista puramente tecnico-giuridico, i tre concetti sono ben distinti quanto lo sono le relative conseguenze giuridiche per ciascuno di essi. Per quanto concerne il punto di vista strettamente terminologico, l’affermazione giusta è: una persona fissa la propria residenza e la propria dimora ed elegge un domicilio. Queste differenze hanno, ovviamente, i loro effetti anche da un punto di vista burocratico.
Come? Per fissare una
residenza
o per eleggere un domicilio è necessario compilare delle dichiarazioni produttive di effetti giuridici. Per fissare la propria dimora è sufficiente tenere una condotta idonea a tal concetto.
Prendiamo, ora, i tre concetti singolarmente.
RESIDENZA.
Nel codice civile si specifica che per residenza s’intende il “luogo in cui la persona ha la dimora abituale” .
Per fissare la propria residenza in un determinato Comune è necessario recarsi presso gli uffici comunali competenti in tale campo – solitamente l’anagrafe – e compilare una dichiarazione che attesti tale condizione.
Sarà compito, poi, degli addetti al controllo – es. Polizia Municipale – verificare la veridicità della dichiarazione.
Una volta fissata la residenza, agli effetti della legge, si deduce che nello stesso ambito sia stabilita anche la dimora.
Talvolta, la residenza legale non coincide con quella di fatto. Legalmente parlando, pensiamo alla ricezione della posta (raccomandate, atti giudiziari, ecc.); la spedizione presso la residenza legale è sempre produttiva di effetti giuridici. Il recapito presso la residenza di fatto, invece, ha effetto solamente se il destinatario riceve personalmente la comunicazione ad esso indirizzata.
Nel caso in cui si cambi dimora – es. trasferimento da una città ad un’altra – sarebbe auspicabile trasferire anche la residenza, a meno che non si tratti di brevi periodi o di soluzioni temporanee – es. il distaccamento temporanea presso un’altra sede dell’azienda per cui si lavora.
Stabilire la propria residenza.
Stabilire la propria residenza nel luogo in cui si vive abitualmente è obbligatorio per legge (cfr. legge n. 1228/1954).
Se non si provvede alle necessarie dichiarazioni presso gli uffici comunali competenti, può accadere che, in caso di verifiche, vi sia l’applicazione di sanzioni pecuniarie, oltre che una correzione d’ufficio delle iscrizioni anagrafiche esistenti (cfr. art. 11. I. n. 1228/1954). Per evitare ciò, occorre comunicare il cambio di residenza o, quanto meno, richiedere la cancellazione del dato non più vero.
Può accadere che chi lascia una residenza non ne possa più eleggere una perché divenuto senza dimora fissa. Che succede in questi casi? L’art. 2 della legge n. 1228/1954 stabilisce che in caso di persone senza dimora fissa, vengono considerati residenti nel comune ove hanno stabilito il proprio domicilio.
DOMICILIO.
Ai sensi del primo comma dell’art. 43 c.c., “il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi. Questo luogo può anche non coincidere con quello della residenza”.
Motivi di certezza giuridica nell’individuazione dei soggetti economici fanno in modo che l’individuazione del domicilio debba essere fatta in quanto iniziare un’attività lavorativa porta con sé, nella quasi totalità dei casi, la necessità di indicare la sede della stessa.
Nel linguaggio comune, così come in quello tecnico-giuridico, usualmente si dice che si deve eleggere un domicilio.
Ai sensi dell’art. 47 c.c.: “Si può eleggere domicilio speciale per determinati atti o affari. Questa elezione deve farsi espressamente per iscritto”. Ovvero: pensiamo ai casi in cui si inizia una causa. Solitamente, nel mandato che si firma per farsi rappresentare dall’avvocato vi è anche l’elezione di domicilio presso il suo studio. In questa maniera tale che tutte le comunicazioni riguardanti quel procedimento vengano inviate nel luogo definito. In questo modo, la persona interessata informa le parti interessate – controparte, giudice e la sua cancelleria – che per quell’affare il domicilio è fissato in quella determinata sede.
Ovviamente è solo un esempio che non esclude altre tipologie di situazioni, come eleggere il domicilio per delle comunicazioni di condominio o per qualunque altro tipo d’affare.
Di solito, il domicilio ha valenza temporanea – cioè fino alla conclusione dell’affare o fino a nuova comunicazione – con obbligo di comunicazione della sua variazione.
DIMORA.
La dimora non è altro che il luogo in cui un soggetto abita.
CONTRATTI DI LOCAZIONE.
Che cosa lega questi tre concetti alle tipologie di contratti di locazione?
Ogni tipologia di contratto di locazione ha i suoi effetti, duraturi o meno, proponendo al possibile affittuario diverse soluzioni, a seconda delle sue esigenze. Sono principalmente 5 le tipologie che si possono incontrare. E sono:
1. Contratto ordinario a canone libero (4+4).
Questo tipo di contratto è caratterizzato da un’autonomia contrattuale limitata. Ossia, le parti possono definire del tutto autonomamente l’entità del canone, ma con un vincolo di durata minimo di 4 anni con rinnovo automatico di altri 4. Salvo, ovviamente, nei casi di diniego del locatore di rinnovo automatico. Quindi, con la disdetta ai primi quattro anni per motivi obbligatoriamente giustificati dalla legge, detti motivi di necessità, quali:
- Utilizzo dell’immobile per sé o per i familiari;
- Vendita dell’immobile;
- Immobile da sottoporre a radicali opere di risanamento ecc…
Non è vietato concordare una durata maggiore del contratto.
Dopo i primi 4 anni, il locatore può inviare una lettera di disdetta al conduttore, con un preavviso di sei mesi alla prima scadenza, indicando il/i motivo/i per cui vuole che l’immobile torni di suo uso e consumo.
Scaduti gli 8 anni.
Dopo gli 8 anni: le parti possono continuare il loro rapporto di locazione, con rinnovo di contratto a nuove condizioni (un altro contratto). Il locatore può dare la disdetta del contratto inviando una lettera raccomandata al conduttore almeno sei mesi prima del termine del contratto. In questo caso non è necessario indicare alcun motivo per cui vuole riottenere il possesso dell’immobile. A sua volta, il condutture ha la possibilità di recedere dal contratto, sempre inviando una lettera di disdetta raccomandata almeno sei mesi prima di ogni scadenza quadriennale. Nel contratto, però, può essere stabilito che il conduttore può recedere anticipatamente, sempre con disdetta da inviare al locatore almeno sei mesi prima.
Nell’inerzia delle parti, la norma stabilisce che il contratto si considera tacitamente rinnovato alle medesime condizioni.
Questa tipologia di contratto, se prolungato oltre gli 8 anni, non influenza la residenza, né la dimora.

Tutto sulla differenza tra residenza, domicilio e dimora nei contratti di locazione.
2. Contratto transitorio.
È stato stabilito che questo tipo di rapporto locatizio abbia una durata non inferiore ad un mese e non superiore ai 18 mesi, per esigenze di stipula dato il carattere “transitorio” del contratto.
Le “motivazioni” che permettono di concretizzare questi rapporti locatizi vengono individuate a livello locale fra le organizzazioni della proprietà e degli inquilini. Raggiunto il termine concordato tra le parti, infatti, la locazione si ritiene conclusa senza bisogno di alcuna comunicazione, né dalla parte del locatore, né da parte del conduttore. Ciò significa che, qualora allo scadere del contratto siano ancora in essere le cause di transitorietà, le parti dovranno attivarsi per conferma l’interesse alla prosecuzione della locazione.
Il contratto-tipo transitorio dovrà prevedere una specifica clausola contrattuale che individui l’esigenza transitoria del locatore e dell’inquilino, i quali dovranno confermare il verificarsi della stessa, tramite lettere raccomandata da inviare prima della scadenza del termine stabilito nel contratto. Qualora il locatore non adempia a questo onere contrattuale oppure siano venute meno le cause della “transitorietà” abitativa, il contratto-tipo dovrà prevedere che la durata del contratto “transitorio” verrà sostituita da quella prevista per il contratto “libero” (nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di un contratto a canone libero 4+4).
L’esigenza abitativa “transitoria” dovrà essere provata con apposita documentazione da allegare al contratto.
Il canone è definito secondo gli accordi territoriali all’interno dei valori minimo e massimi fissati a livello locale per i contratti “concordati”: in pratica nel contratto transitorio il calcolo di canone è simile a quello del contratto concordato aumentato del 20%.
Questo tipo di contratto non implica la necessità di un cambio di residenza o domicilio.
Il canone è calmierato – cioè più basso di quello di mercato. L’importo del canone viene calcolato sulla base di accordi tra le associazioni dei proprietari e degli inquilini. Negli accordi in vigore sono state elaborate delle vere e proprie tabelle con i parametri valutati in base alle qualità e caratteristiche dell’immobile: zona ove ubicato, dimensione, rifiniture, accessori ecc… Lo scopo del legislatore è quello di tenere più basso il canone per venire incontro alle esigenze di chi è costretto a prendere in affitto un immobile e nello stesso tempo ha voluto incentivare i proprietari ad usare questa formula concedendogli dei benefici fiscali:
- Il proprietario gode di un abbattimento del 30% del canone su cui pagherà l’Irpef sommata alla detrazione forfetaria del 5%. Quindi inserirà in dichiarazione solo il 479,5% del canone annuale;
- Sconto del 30% dell’imposta di registro, che sarà divisa in parti uguali tra il locatore e conduttore.
Alla scadenza dei primi tre anni, le parti possono accordarsi ed il contratto può essere rinnovato per altri 3 anni stabilendo o meno nuove condizioni, altrimenti il contratto è prorogato automaticamente per ulteriori due anni.
Finiti i 5 anni.
Trascorsi i due anni di proroga, su iniziativa del locatore e/o del conduttore potrà essere avviata la procedura:
Per il rinnovo dello stesso a nuove condizioni; per la rinuncia del rinnovo del contratto: in questo caso la comunicazione deve essere inviata all’altro soggetto mediante lettera raccomandata almeno sei mesi prima della scadenza.
Qualora le parti non promuovano alcuna iniziativa, il contratto si considera tacitamente rinnovato per altri due anni alle medesime condizioni.
Nulla vieta tuttavia alle parti, di provvedere una clausola diversa con durata maggiore.
Se il proprietario vuole disdire il contratto, è obbligato a dare comunicazione per mezzo di raccomandata con ricevuta di ritorno (A/R), almeno sei mesi prima della scadenza. Ciò, sia allo scadere del primi 3 anni che alla fine dell’intero periodo di contratto.
Può essere pattuito che il conduttore può recedere anticipatamente, sempre con disdetta da inviare al locatore almeno sei mesi prima. Inoltre, le spese di registrazione del Concordato sono inferiori a quelle per altri contratti. Il proprietario può chiedere un deposito cauzionale (produttivo di interessi annui) che non sia superiore alle 3 mensilità.
4. Contratto transitorio per studenti.
Questa tipologia di contratto prevede una durata dai 6 ai 36 mesi e può essere sottoscritta sia dal singolo studente sia da gruppi di studenti universitari fuori sede o dalle aziende per il diritto allo studio. Può essere stipulato solo nei comuni sede di università o di sedi universitarie distaccate.
Il canone di locazione è vincolato agli accordi locali come il contratto a canone concordato.
Lo studente deve seguire un corso di laurea in un comune diverso da quello di residenza, ovvero dev’essere fuorisede.
Il locatore deve verificare che il conduttore sia effettivamente uno studente, quindi deve farsi consegnare una certificazione che lo attesti, e ha l’obbligo di utilizzare l’alloggio dopo il rilascio, pena il risarcimento di 36 mensilità a favore del conduttore.
Il deposito cauzionale non può essere superiore a 3 mensilità.
Succede spesso che il locatore, invece di applicare un canone calmierato secondo gli accordi territoriali, applica un canone di mercato, in quel caso il contratto sarà nullo e lo studente potrà rivolgersi all’avvocato per ottenere le somme di denaro versate in eccesso.
Anche per questo tipo di contratto sono previste agevolazioni fiscali per il locatore e non necessita di un cambio di residenza da parte del/degli inquilino/i.

Tutto sulla differenza tra residenza, domicilio e dimora nei contratti di locazione.
5. Contratto di comodato d’uso.
Il comodato d’uso è un contratto col quale un proprietario consegna l’immobile ad un’altra persona affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta.
Il comodato è essenzialmente gratuito.
Se non è stato convenuto un termine né questo risulta dall’uso a cui la cosa doveva essere destinata, il comodatario è tenuto a restituirla non appena il comodante la richiede.
Bisogna prestare attenzione su questo tipo di contratto, in quanto spesso viene usato per incamerare soldi in nero.
N.B.: se per il comodato d’uso viene versato il deposito cauzionale, esso deve essere espressamente previsto da una clausola del contratto di comodato e può essere prova di un eventuale pagamento a nero!
Sostanzialmente: la scelta della residenza, che fa presupporre anche la fissazione della dimora, riguarda principalmente aspetti relativi alla vita privata. L’istituto del domicilio, invece, trova la sua applicazione generalmente per questioni legate alla vita professionale.
Dubbi risolti? Speriamo di si!