Come ha spiegato il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, l’aumento del 178% in tre anni delle tasse sulla casa ha fortemente ridotto i vantaggi dell’investimento immobiliare, con un conseguente “effetto sfiducia” causato dalle conseguenze psicologiche che si ripercuotono sui proprietari che, che con il costante calo dei prezzi delle compravendite, vedono impoverirsi il loro patrimonio. Subentra quindi una paura di spendere, che rischia di permanere a lungo nel nostro Paese.
Secondo Confedilizia “Gravare gli immobili di un carico di tasse come quello abbattutosi in Italia negli ultimi anni produce conseguenze negative a catena con riflessi evidenti sulla crescita del Paese”: crollo delle compravendite immobiliari, degli interventi di ristrutturazione, fallimento delle imprese edilizie e crisi del settore degli affitti. Per questo l’associazione chiede al Governo “una riduzione della morsa fiscale sugli immobili”.
Secondo i calcoli di Confedilizia, prendendo ad esempio una casa a Roma con rendita catastale di 1.000 euro data in affitto a canone libero, se nel 2011 il proprietario versava 735 euro di Ici, nel 2014 paga 1.889 euro di Imu e Tasi. In sostanza paga il 157% di tasse in più, che salgono al 291% in più per il canone concordato. Come sottolinea Spaziani Testa “Si tratta di una grave violazione di un patto tra lo Stato e il contribuente”, in questo modo “si rischia di far scomparire del tutto quella fascia di locazione privata che veniva subito dopo l’edilizia economica e popolare, che da sola non riesce a soddisfare tutta la domanda di affitto a canoni bassi”.
La situazione non è migliore per il settore commerciale, infatti, se l’immobile è affittato come negozio le imposte vanno ad erodere fortemente i guadagni: a fronte di un canone annuo di 12.000 euro, si può arrivare a pagare fino a 7.295 euro di tasse. Si tratta del 60% del valore percepito con l’affitto, per via dell’effetto combinato di Imu, Tasi, e, “a livello statale, di una imposizione Irpef che di fatto colpisce persino le spese, essendo queste considerate, come deduzione fiscale, nella irrisoria misura forfettaria del 5% a partire dal 2013”. In questo modo il rischio è quello di far venir meno l’acquisto destinato alla locazione, una forma di investimento diffuso e radicato, non necessariamente vincolata a fasce di reddito particolarmente alte.